01 gennaio 2006

Lo sciuscio de L'illogica allegria


Anche l'illogica allegria ha portato il suo buon anno casa per casa, con il tradizionale sciuscio gaetano.
A questo proposito, riportiamo un articolo di un nostro socio, apparso su "Il Corsivo" qualche anno fa.
Ne approfittiamo per augurarvi buon anno a tutti.
Intervista.
Nino Cocchetto: "Ho salvato glie sciuscie"
di Luca Di Ciaccio
"L’ultima sera di ogni anno a Gaeta si perpetua la tradizione dello sciuscio: gruppi di persone, dai bambini fino agli adulti, girano per case e negozi a portare i loro canti augurali. Sono vestiti quasi sempre in costumi tradizionali o comunque folkloristici, cantano soprattutto in dialetto e suonano strumenti tipici e artigianali come l’urzo, il martello, la rattacasa. Sono pochi i gaetani che, almeno una volta nella vita, non hanno passato il 31 dicembre cantando lo sciuscio. E’ un modo per divertirsi, esibirsi e racimolare qualche cosa. Il fenomeno è stato anche oggetto della tesi di laurea di Paola Polito, studentessa di Lettere alla Sapienza, pubblicata in un libro edito dal Comune di Gaeta nel 2000. La Polito descrive lo sciuscio come un sincretismo tra radici storiche, foklore e influenze della cultura di massa, un rito propiziatorio e di iniziazione.

Nino Granata, nome d’arte Cocchetto, 63 anni, ex calciatore, di professione fotografo, da oltre venti anni è conosciuto come “il re dello sciuscio gaetano”. «Senza di me lo sciuscio sarebbe già scomparso», dice. Lo sciuscio per lui è un’arte, una religione, una ragione di vita: scrive canzoni, consiglia i giovani, organizza un Festival. Il suo stile è una via di mezzo tra Pulcinella, Peppe Barra e Renato Zero. Ogni sua sciusciata è uno spettacolo applaudito e richiestissimo: comincia il giro alle 17 del 31 dicembre e prosegue per negozi, case private e locali fino all’alba di Capodanno. Certo, è anche una faticaccia: «Altro che re, scrivi che io sono lo sgobbatore del sciuscio». Sono andato a trovarlo da “FotoNino”, il suo negozio di fotografia ormai riconvertito a tempio del rito sciusciaiuolo, di cui è massima autorità: «Io sto aperto perché i ragazzi vengono, provano, vogliono consigli, canzoni. Da qui sono passati un po’ tutti». Cocchetto parla e canta, mostra le sue foto alle pareti, articoli scritti su di lui, persino il costume, lungo, bianco e rosso con mantello, che indosserà quest’anno.

«Si stava perdendo la tradizione dello sciuscio, ma 23 anni fa l’ho acciuffata. Io scrivo parole e musica a quasi tutti i gruppi che vedi ogni anno».
Com’è nata questa passione?
Io giocavo a pallone col Gaeta, Cocchetto del Gaeta, ero il più piccolo giocatore del Gaeta e tutti mi dicevano “che bel Cocchetto”, e tuttora mi chiamano Cocchetto, così per una cosa di simpatia.
Io ci avevo due passioni: il pallone e lo sciuscio. All’età di 6-7 anni già facevo i sciusci. Andavo appresso a sta’ gente, che i miei non volevano, perché ero piccolo. Poi giocavo a pallone, avevo 12-13 anni e già la vena di scrivere gli sciusci a quelli grandi. I vecchi allora me lo chiedevano, Nino scrivici qualcosa! Oggi io sono l’unico che col pulmino e tutto alle 9 di sera vado per le case fino alle 4 di mattina a portare sciusci. Nessuno ci vuole andare. I giovani massimo alle 10 staccano. I gaetani vogliono la tradizione ma non la sanno mantenere. Io invece giro case, locali, ma è lavorato. Altro che o re degli sciusce. Io sono lo sgobbatore, l’operaio degli sciuscie. Ma lo faccio con l’anima, me lo sento.
Lo sciuscio di quest’anno è pronto?
Ecco, questa è la canzone di quest’anno. Vich e ammor.
(canta) “Vir e vich e ti fa suspira’, meraviglia de questa città, ca so’ nato e ci voglio restà, chist vich che ammor ti da’, na figliola abbracciata cu tte è sicuro che sta con ‘nnu re...” Io adesso ho la voce un po’ così che sono appena andato a provare... ”Guardanne e vich te mett into o’ ccorre n’ammore paesan, o ricord dei vich è vita ammore e felicità, parapapa....”. Questa è la canzone creata da me
Complimenti. Quando l’ha scritta?
L’ho scritta già questa estate, il pezzo mio lo scrivo sempre prima e poi lo metto da parte. I gruppi grandi come il mio cominciano un mese prima a provare. Allora, questo sarebbe il pezzo mio che do al pubblico, però l’inno nazionale, “nui simm’ gli poveri poveri” rimane sempre, quello non si tocca. Io ci cambio solo la musica, ma quando vai in una casa se non chiami “ohi padrò...” i soldi non te li danno.
Si dice in giro di leggende sulla sua sciarpa. Me le spiega?
Ora ti spiego. L’ingegnere Fantasia, lo sanno tutti a Gaeta, aveva 105 anni quando è morto. E io andavo da lui che gli piacevano queste cose. E lui mi regalò questa sciarpa. La sciarpa è del bene e del male, usala per il bene. L’ho persa 13 volte e sempre me l’hanno riportata. Una volta sono andato a RaiUno e il direttore della Raiuno mi ha detto “per piacere ho sentito parlare della sciarpa, posso esprimere un desiderio?”. Chissà chi ce l’avrà detto.
E cosa chiese il direttore di Rai1?
Il desiderio non lo so. Bisogna farlo mentalmente...

Torniamo allo sciuscio. Lei parte ogni anno alle 17 del 31 dicembre dalla galleria sul Corso.
Io sono l’ultimo a uscire e l’ultimo a tornare. Le quattro, le cinque...
Ma alla mezzanotte dove va?
Viene il costruttore Capomaccio, tutti gli anni viene qui e vuole che a mezzanotte meno un quarto siamo a casa sua. Ci fa fare lo sciuscio proprio a mezzanotte, ci fermiamo lì senno se stiamo nel pulmino ci lanciano le cose addosso. Poi c’è la Base nautica che lo vuole all’una e mezzo, l’Antico vico a un altro orario. Vado da Scialdone, da Ciccariello. Dal fior fiore della Gaeta.
Però chissà quanto costa.
No, non è vero proprio. Quanto mi dai dai è uguale. Specie adesso col fatto dell’euro...
Solite polemiche sulla modernizzazione, contro si è schierato anche l’assessore Di Mille.
E lei che strumenti usa?
Io ho sassofono, fisarmonica e batteria. Basta. Poi ho urzo, martello, tamburella e rattacassa, e l’acciarino. Che sono i tradizionali. Il festival 2003 si terrà il 5 gennaio in piazza della libertà, c’è un bando per le strade di Gaeta con la firma del sindaco, premi in euro, una collaborazione con Radio Spazio Blu (che, per coincidenza di tradizione e novità, ha la sede proprio a pochi metri da FotoNino). E ci sarà anche il musicista napoletano Tony Esposito sul palco.
A proposito il sindaco Magliozzi l’ha visto?
Magliozzi è venuto qua mi ha dato la mano, mi ha ringraziato, ha detto quest’anno facciamo una cosa migliore. Io collaboro a scrivere i testi. A me non importa di partecipare, che vinca il migliore. In tutti questi anni qualche premio, qualche contributo glielo avranno dato. Tutti i sindaci, ognuno che viene mi da sempre qualcosa. Una targa, un piccolo contributo. E poi tutti mi dicono: quando tu non ci sarai più chissà come andrà a finire. Io oggi batto a macchina i testi e glieli do gratis ai ragazzi. Perché la fonte dei sciusci sono i piccoli. Se io 23 anni fa non cominciavo oggi sarebbe tutto scomparso. Allora c’erano solo pochi che uscivano, il maestro Ciano, il maestro De Rosa. Io li acciuffati e piano piano... C’era Andreotti che mi mandava 300mila lire ogni anno. Allora c’era Uttaro che me lo fece conoscere. Ma ogni giunta mi dava sempre una cosetta. Quest’anno forse fanno anche una cosa più organizzata.
Ma chi erano i poveri poveri, quelli che hanno iniziato la tradizione della questua di Capodanno?
Lo sciuscio è nato a Elena, zappatori e pescatori. C’era la manovalanza che veniva da Casoria, li chiamavano i gaetani per costruire le case, che non avevano nemmeno da mangiare. Loro andavano porta per porta... ohi padrò Tore dacce sti sciusci, dacci sti fichisecchi... Poi il maestro Ciano e altri ci fecero la musica, diventò una serenata.
Ha fatto lo sciuscio anche ad Andreotti.
14 anni fa Uttaro mi portò da Andreotti. Gli piacevano il dialetto, le tradizioni. Cocchitelli, tu sei un filibustiere mi ha detto. E Io risposi: onore’, amma fa’ la conta io e tte... Poi Andreotti mi disse: allora Cocchitelli, che vuole? Onore’, so dodici anni che faccio sti sciusci, perché lo devo fare solo io, questa è una cosa cittadina. E lui: e se poi viene un altro per un anno e lo fa meglio di te? Poi finisce la bagattella...
Una bella lezione. Lei ormai sta durando quasi più di Andreotti. Cambiano i temi, le amministrazioni e tutto, però lo sciuscio non si tocca.
Ogni amministrazione ha racimolato sempre qualcosa. Massimo un milione, non di più. Perché se danno dieci milioni a me qua facciamo meglio di Sanremo. Lo sciuscio è come se fosse una mia creatura. Quando la gente mi vede cantare, dice “tu somigli a Renato Zero o a quell’altro...”, perché io canto con l’anima. Come te lo spiego? Non è che uno va a recitare. Io Gaeta ce l’ho nell’anima.
Ha portato il suo sciuscio anche alle giunte comunali, vero?
Parecchie giunte mi invitano a cantare con loro. Sei anni fa, c’era la giunta D’Amante, io arrivo lì, tutti seduti a tavola, ridevano. Io ho dato gli strumenti in mano a loro, così loro suonavano e io cantavo. Lo sciuscio è armonia, è una famiglia, non c’entra la politica. Se questa giunta nuova non faceva qualcosa per lo sciuscio mi dispiaceva. Poi è il primo anno tutti si aspettano qualcosa. Poi io devo dire viva chi va e viva chi viene, l’importante è lo sciuscio. E’ l’unica tradizione che c’è rimasta.
Però, quando arriva Cocchetto la gente pretende qualcosa di particolare.
Bravo, esatto. Loro dicono tu sei o re d’o sciuscio. Ma che o ‘rre? Io sgobbo. Io sono lo sgobbatore, l’operaio dello sciuscio.
E’ una missione sociale
Si, io sono il missionario dei sciusci. Nel vero senso della parola.
Quando prova è anche un perfezionista?
Ti dico una cosa: c’era un ragazzo che faceva il batterista, mentre provavamo ha lasciato la batteria ed è andato al telefono. Lo chiamava la ragazza. Io ho preso un portacenere e ce l’ho tirato appresso. Mica l’ho colpito, ho rotto dei vetri. Io voglio il meglio del meglio, per il pubblico.
Per concludere, quali sono i fondamentali del vero sciuscio?
L’inno nazionale: nui simm gli poveri poveri... ohi patro Tore... quello ci sta sempre. Il ringraziamento a Gaeta, sempre Gaeta. Quello è lo sciuscio. Io ho scritto sempre canzoni su Gaeta. E in dialetto, che è importante, si deve capire. Poi gli strumenti, la partitura musicale. E sempre urzo, rattacasa, martello. E poi io ci metto l’anima. E la gente questo lo sente.
Come se la spiega questa popolarità?
La gente si innamora della tradizione. Certa gente mi dice “Nino, non ti offendere, io ti devo chiamare Cocchetto”. E chiamatemi Cocchetto..."

1 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Bella ragà ndù sciuscio, aloooooooooooooooooooonz
molla...
ann mi ti farei,
by c'ho tutti i piedi di tutti in bocca...

17:09  

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