Se non ci fosse il caos
di Paolo Coiro
Sapete come si chiama la contrada in provincia di Agrigento nella quale nacque Luigi Pirandello? No? Nemmeno io lo sapevo fino a due secondi fa... Ebbene, questa contrada si chiama Caos. A questo punto mi direte: “Ma questo, dove vuole andare a parare?” Ve lo dico subito. In my opinion (come apostrofava sempre la mia professoressa di inglese prima di dire la sua), non è una casualità che Luigi Pirandello, uno dei mostri sacri della nostra letteratura contemporanea (premio Nobel per la letteratura nel 1934), sia nato in una contrada di nome Caos.
E sì... Esisterebbe la letteratura se non ci fosse il caos? No. E questo non lo dico io, ma lo dichiarano anche grandi luminari nel campo delle patrie lettere. È nel caos che sguazzano i nostri grandi scrittori. Si rivoltano in questo marasma, in questa bufera senza forma e la studiano. La analizzano, non per portare a casa una visione più ordinata e comprensibile a tutti, ma per creare altro caos, altra letteratura. Il discorso può sembrare caotico (mai come in questo caso l’aggettivo è calzante), ma è estremamente semplice. Gli scrittori, non sono nient’altro che dei pazzi che sanno divincolarsi nel caos. Mentre noi, semplici cittadini del mondo, appena assaggiamo un po’ di caos, andiamo subito in depressione o comunque in difficoltà, gli scrittori vogliono assorbire questa sorta di malattia per viverla nel più profondo del suo essere. Ed ecco, che a questo punto... i pazzi siamo noi. La modernità – sia letteraria che sociale – non è nient’altro che un insieme di contraddizioni necessarie. Delle tipologie di esseri, di situazioni, di creazioni artistiche, di pensieri, tutte contrastanti. È proprio questa concatenazione di contrasti che genera il caos, e di conseguenza la modernità.
Poi ci sarebbe un discorso più semplicistico, insito nel pensiero che, se non ci fosse il caos, non ci sarebbe niente da scoprire, niente da mettere in ordine. A questo punto, la vita di un uomo non avrebbe più motivo di esistere, visto che una delle prerogative assolute dell’evoluzione umana è riposta nella scoperta del nuovo. L’altra analisi magra gira attorno al concetto di caos nella sua accezione primitiva: il caos come confusione. Qualcuno afferma in maniera aprioristica che il caos è qualcosa che va a braccetto con la globalizzazione. Perché nel ’68 non c’era il caos? Nel ’50? A questo punto, un’indagine sociale di questa portata, sarebbe troppo alta per noi semplici apprendisti giornalisti. La nostra realtà, è un vortice leggero difficile da distinguere per forma e provenienza. La fascinazione del non finito, del poco definito, dell’opaco, è sempre dietro l’angolo, pronta a farci ragionare e rivoltare il cervello. Forse, l’arte è proprio caos. È voglia di abbattere immagini, situazioni e comportamenti stereotipati. Rivolgiamoci solo al vento qualche volta, senza riflettere sul senso di una cosa o sul perché. Nell’essenza del caos, nel pensieroso vorticoso e forse insignificante, si potrebbe celare la natura del nostro essere, il profumo della nostra pelle. L’ordine di tenere le mutande da una parte e i calzini dall’altra nel cassetto, è un altro esempio di caos. Non è follia, nemmeno filosofia, ma modernità. Ricambi del tempo nel tempo.
Questo caos non ci deve spaventare o portare ad atteggiamenti di alienazione o rifiuto. Molti non amano vivere nelle grandi città per la troppa confusione, per quel trambusto che potrebbe portare ad un allontanamento dalla realtà vissuta. Ma se ci immergiamo anche solo per un istante in questo caos, forse potremmo capire che lo stiamo vivendo, attraversando, calpestando come si calpesta un vecchio sentiero dove l’erba è ricresciuta per mancanza di un passaggio che non avviene da molto tempo. Lo scrittore Neri Tanfucio – al secolo Renato Fucini – nella sua opera “Napoli ad occhio nudo” descrive il porto della città partenopea coniando un interessantissimo appellativo: una “diabolica armonia”. Un contrasto, una contraddizione che rappresenta una delle cose più certe della nostra vita. È proprio in questo caos che dobbiamo ritrovare il nostro posto, la nostra serenità. Un vecchio canuto dalla barba incolta, ricordava che “solo l’assaggiatore della tempesta potrà conoscere l’armonia”. Sarà vero? Fate prima un po’ d’ordine e poi gettatevi nel caos!
Sapete come si chiama la contrada in provincia di Agrigento nella quale nacque Luigi Pirandello? No? Nemmeno io lo sapevo fino a due secondi fa... Ebbene, questa contrada si chiama Caos. A questo punto mi direte: “Ma questo, dove vuole andare a parare?” Ve lo dico subito. In my opinion (come apostrofava sempre la mia professoressa di inglese prima di dire la sua), non è una casualità che Luigi Pirandello, uno dei mostri sacri della nostra letteratura contemporanea (premio Nobel per la letteratura nel 1934), sia nato in una contrada di nome Caos.
E sì... Esisterebbe la letteratura se non ci fosse il caos? No. E questo non lo dico io, ma lo dichiarano anche grandi luminari nel campo delle patrie lettere. È nel caos che sguazzano i nostri grandi scrittori. Si rivoltano in questo marasma, in questa bufera senza forma e la studiano. La analizzano, non per portare a casa una visione più ordinata e comprensibile a tutti, ma per creare altro caos, altra letteratura. Il discorso può sembrare caotico (mai come in questo caso l’aggettivo è calzante), ma è estremamente semplice. Gli scrittori, non sono nient’altro che dei pazzi che sanno divincolarsi nel caos. Mentre noi, semplici cittadini del mondo, appena assaggiamo un po’ di caos, andiamo subito in depressione o comunque in difficoltà, gli scrittori vogliono assorbire questa sorta di malattia per viverla nel più profondo del suo essere. Ed ecco, che a questo punto... i pazzi siamo noi. La modernità – sia letteraria che sociale – non è nient’altro che un insieme di contraddizioni necessarie. Delle tipologie di esseri, di situazioni, di creazioni artistiche, di pensieri, tutte contrastanti. È proprio questa concatenazione di contrasti che genera il caos, e di conseguenza la modernità.
Poi ci sarebbe un discorso più semplicistico, insito nel pensiero che, se non ci fosse il caos, non ci sarebbe niente da scoprire, niente da mettere in ordine. A questo punto, la vita di un uomo non avrebbe più motivo di esistere, visto che una delle prerogative assolute dell’evoluzione umana è riposta nella scoperta del nuovo. L’altra analisi magra gira attorno al concetto di caos nella sua accezione primitiva: il caos come confusione. Qualcuno afferma in maniera aprioristica che il caos è qualcosa che va a braccetto con la globalizzazione. Perché nel ’68 non c’era il caos? Nel ’50? A questo punto, un’indagine sociale di questa portata, sarebbe troppo alta per noi semplici apprendisti giornalisti. La nostra realtà, è un vortice leggero difficile da distinguere per forma e provenienza. La fascinazione del non finito, del poco definito, dell’opaco, è sempre dietro l’angolo, pronta a farci ragionare e rivoltare il cervello. Forse, l’arte è proprio caos. È voglia di abbattere immagini, situazioni e comportamenti stereotipati. Rivolgiamoci solo al vento qualche volta, senza riflettere sul senso di una cosa o sul perché. Nell’essenza del caos, nel pensieroso vorticoso e forse insignificante, si potrebbe celare la natura del nostro essere, il profumo della nostra pelle. L’ordine di tenere le mutande da una parte e i calzini dall’altra nel cassetto, è un altro esempio di caos. Non è follia, nemmeno filosofia, ma modernità. Ricambi del tempo nel tempo.
Questo caos non ci deve spaventare o portare ad atteggiamenti di alienazione o rifiuto. Molti non amano vivere nelle grandi città per la troppa confusione, per quel trambusto che potrebbe portare ad un allontanamento dalla realtà vissuta. Ma se ci immergiamo anche solo per un istante in questo caos, forse potremmo capire che lo stiamo vivendo, attraversando, calpestando come si calpesta un vecchio sentiero dove l’erba è ricresciuta per mancanza di un passaggio che non avviene da molto tempo. Lo scrittore Neri Tanfucio – al secolo Renato Fucini – nella sua opera “Napoli ad occhio nudo” descrive il porto della città partenopea coniando un interessantissimo appellativo: una “diabolica armonia”. Un contrasto, una contraddizione che rappresenta una delle cose più certe della nostra vita. È proprio in questo caos che dobbiamo ritrovare il nostro posto, la nostra serenità. Un vecchio canuto dalla barba incolta, ricordava che “solo l’assaggiatore della tempesta potrà conoscere l’armonia”. Sarà vero? Fate prima un po’ d’ordine e poi gettatevi nel caos!
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