27 dicembre 2006

Sogno

di Paolo Bellipanni

Se ci fossero note di violini a scandire gli attimi della nostra vita, se a giocare con il sole fossimo noi al posto delle nuvole, se dietro quell’infinito orizzonte ci fossimo noi assieme al tramonto, allora diremmo di vivere in un sogno, in quell’atmosfera che nel cuore di ogni persona si infiamma tagliando l’etere con il volo dei suoi ardenti tizzoni. Il sogno è come un cuscino sul quale appoggiare i propri sentimenti, le proprie riflessioni, i propri ricordi, ma non è solo questo perché il sogno rientra in una sfera che va oltre il pensiero e il sentimento raggiungendo le sponde dell’ignoto. Tutto ciò pare una stupidagine, ma non lo è perché è soprattutto grazie ai sogni che una persona riesce a trovare lo smalto per correre con sapienza i passi della vita; sono i sogni ad aprire le porte e i cancelli dell’anima. Ma tutto ciò non deve passare solamente come una mera fantasia personale, come la concretizzazione immaginaria di pensieri fluttuanti nella nostra testa, perché il sogno è come l’acqua per un fiume, o come il fuoco per l’incendio. Esso è uno strumento straordinario, probabilmente l’unico mezzo per approdare sulle sponde dell’eternità che ogni uomo nel suo piccolo cerca, è un qualcosa di assoluto e primordiale, come un albero che per sempre sta fermo mutando il suo aspetto col calar delle stagioni, lasciandosi abbandonato alla malinconia autunnale per poi riprender colore con l’amore primaverile. Ma un vero sogno non è quello scaturito dai nostri sentimenti amorosi, né quello che vien suggerito dalla mente o dallo sguardo; l’essenza e la purezza del sogno si hanno quando si è assaliti da un’onda improvvisa e maestosa nella sua unicità, un’onirica incarnazione di solitaria pace e tranquillità. E’ come se lasciassimo cadere una nostra lacrima nel mezzo di un lago, osservando le sue piccole e leggere onde fluire geometricamente nell’acqua e sentendo allo stesso tempo un impetuoso maremoto di sensazioni e passione sbattere internamente sulle pareti del cuore che, in preda a tale cavalcata d’emozioni aumenterebbe vertiginosamente il suo battito, sempre più forte, sempre più deciso. Il sogno è la terminale meditazione, l’attimo in cui tutto ciò che ci è attorno si allontana rimpicciolendosi al livello dell’orizzonte lasciando spazio soltanto ai soliloqui della nostra anima, tra poesia e visioni sussurrate da voci infinite. Sognare è in qualche modo una filosofia dello spirito che addormenta e ipnotizza il corpo e la mente lasciando fluire solo e soltanto ciò che proviene dalla più oscura insenatura della nostra profondità. Non sono occidentali sentimentalismi pseudoromantici (come quelli della decadente società giovanile), né semplici pensieri che balzano alla mente su suggerimenti, perché quando si sogna si è in un certo senso consapevoli di farlo, ma allo stesso tempo si è dietro pareti inesistenti, celati e nascosti agli altri e anche a noi stessi, sennò perché tale parola è legata al sogno notturno? Perché in quel preciso istante si è in una condizione di realtà immaginaria percepibile solo a tratti dato che si è posseduti dall’inconscio individuale che ci pone tra due spazi ben definiti, ovvero quello della consapevolezza e quello della “non presenza”. Per tal motivo il sogno non è nulla di reale, anzi, è totalmente fuori da qualsiasi recinto conoscitivo materiale, è una stella senza galassia che effimera e libera vaga nel nostro cosmo, nella nostra vita. L’uomo deve con umiltà crogiolarsi nel perfetto equilibrio che sta tra il sogno stesso e il provare a realizzarlo. Una mera fantasia fine a se stessa non può essere definita “sogno”, bensì tale condizione si può raggiungere solo e soltanto quando l’uomo si pone nella Via di Mezzo, ovvero nel preciso punto in cui si ha congruente equidistanza dai due opposti dell’anima: il reale (ovvero il pensiero) e l’inconscio. Non si può vivere solamente nella solitaria atmosfera dei sogni perché, realisticamente parlando, è come vivere costantemente in un sonno notturno senza aver la capacità di distinguere più l’esperienza diurna che, essendo il punto antipodale di ciò che il sogno ci “rivela”, è fondamentale dato che ogni fenomeno nasce in relazione con un altro fenomeno. In tal modo attorno al sogno si può costruire la sua essenza più pura e in qualche modo più giusta, la cornice che renderebbe completo questo onirico quadro. Perciò, solamente abbandonando le subdole e suggerite reincarnazioni del finto sogno occidentale e cogliendo la verità nel suo significato intrinseco si può vivere pienamente la bellezza di quest’attimo così intenso e universale, una semplice voce che nell’improvvisa fugacità della sua durata rapisce e immortala la nostra anima nella sua, mentre sentiremo tale voce scomparire in un’infinita eco che si ripercuoterà in noi stessi lentamente.

Il sogno nei nostri tempi viene più considerato come una mera fantasia e come un desiderio piuttosto che come l’attimo della fase REM in cui tale sviluppo della ragione rientra senza volerlo nel subconscio. In qualche modo questa seconda affermazione presenta strutturalmente la vera entità del sogno visto come improvviso e incontrollato momento di cessazione della realtà, incarnazione del nostro essere che nel sogno non è presente, bensì inconsapevole di ciò che esso stesso sta producendo. Giunti a questo stadio del processo onirico, ovvero l’assenza del pensiero e della realtà conoscitiva, si arriva al compimento finale del sogno che si identifica, attraverso uno specchio, con il momento culmine della fase REM del nostro sonno.

Sognare non è una semplice dimensione, come non è sogno l’atto dell’appoggiare la testa sul vetro dell’autobus e farsi invadere la testa di pensieri indipendenti e slegati. Il sogno è l’attimo d’estrema libertà, in quanto si è liberi anche da se stessi, dalla propria mente, e dalle catene del proprio pensiero, adesso celato dall’avvento del nostro inconscio. Perciò, tra tale condizione non conoscitiva e la base materiale sulla quale poi tal sogno dovrebbe snodarsi, l’uomo deve porre il sentiero su cui camminare in equilibrio, posando i suoi occhi sugli alberi e sulle sue foglie (la realtà) e lasciando cadere qualche fugace ma intenso sguardo all’orizzonte che nel nome del sogno brucia e arde.