30 marzo 2006

"Ma cos’è la destra? Cos’è la sinistra?"

di Emanuele Di Mascolo
Spiegavamo già nell’editoriale del secondo numero di questo giornale, il ruolo che gioca la cultura nella società moderna. Il suo servizio al potere costituito, la sua funzione asservitrice. Di contro, né mettevamo in evidenza anche le potenzialità emancipatrici che essa possiede. Dunque: la cultura è anzitutto uno strumento (nel senso del ruolo sociale che svolge), un’arma di controllo e repressione nelle mani di caste privilegiate, di riscatto ed emancipazione in quelle degli oppressi. Da ciò è evidente, che la cultura è sempre per qualcosa o per qualcuno, in altre parole: la cultura è di parte. Quest’affermazione apre il campo ad altre due considerazioni. La prima di queste è l’idea secondo cui la “cultura è di sinistra”. Ciò se non’è del tutto falso, è comunque un affermazione erronea. Prima di tutto perché se si considera la cultura uno “strumento” al servizio di una determinata classe sociale, al massimo si può sostenere che la sinistra sia portatrice di istanze di riscatto sociale che alla destra sono aliene. Quando parlo di istanze, parlo di intenti che sostanzialmente oggi nello scenario politico italiano rimangono sulla carta, dato lo sconcertante livello di subalternità all’ideologia dominante a cui si è ridotta la sinistra italiana. Ma qui ora conviene uscire dal terreno di ipotetici valori di riferimento per ricondurre il discorso su un piano pratico.

Insomma, malgrado la destra sia spesso portatrice e promotrice di una sub-cultura (il razzismo, l’omofobia, difesa pretestuosa di tradizioni che non hanno più senso nella società odierna), ciò non basta per poter dire “la cultura è di sinistra”. Al contrario, esiste una cultura della destra (e sub-cultura) ed una cultura della sinistra. La prima potrebbe essere identificabile con valori come il nazionalismo - da non confondere con il patriottismo - la difesa delle proprie radici contro l’invasione dei muslims , che ci rubano il lavoro e stuprano le donne; la seconda con ideali di giustizia sociale, democrazia economica e politica, rispetto dei diritti e delle diversità. Lontani dall’intento di voler condurre un confronto filosofico, (anche perché non ne avremmo le capacità) su ciò che distingue la destra dalla sinistra; quello che ci interessa è comprendere l’ingiustificato pregiudizio che si ha nella nostra “spensierata e ridente” cittadina, nei confronti di chi, cerca con mille difficoltà di portare avanti una “situazione culturale”, come direbbe il nostro buon Pinna. Il pregiudizio, è semplicemente quello di considerare di sinistra qualsiasi persona che cerchi di ravvivare l’apatia gaetana con delle iniziative culturali. È assurdo, nonché stupido, pretendere da un’associazione culturale come “L’illogica allegria”, una presunta neutralità. Non si può chiedere alla cultura di essere neutrale, come se fosse un corpus estraneo alla realtà che viviamo; sarebbe un po’ come chiedere a dei giovani di non avere idee, un invito a rifugiarsi nel privato. L’illogica allegria non è nata come associazione culturale di sinistra o di destra, ciò non impedisce però che i soci che ne fanno parte possano esprimere le proprie considerazioni e punti di vista.

Chi leggerà questo editoriale, non potrà far altro che constatare che è scritto da una persona sicuramente di sinistra; ed ha ragione. Molti altri, probabilmente non lo leggeranno nemmeno, o ci faranno degli aeroplanini , dato che lor signori non leggono la “stampa rossa”. Ma il punto è, che si deve essere arrivati proprio in basso se si pensa a prescindere da tutto, che chi fa cultura è di sinistra. In questo caso mi augurerei che lo diventassero tutti. E credo che sia anche un’offesa, per tutte quelle persone che scrivono su un giornale o svolgono attività culturali, che un’editoriale del genere non l’avrebbero mai scritto, perché sono di destra, sentire simili scemenze. La cosa peggiore poi che sono soprattutto i giovani, coloro a cui noi tentiamo di rivolgerci, dove sembrano più forti e radicati simili pregiudizi. Quindi oserei azzardare che il problema è un altro: un problema che è anche di natura politica, ma soprattutto culturale. La gente non legge, indipendentemente da quello che gli si dà in mano, è la routine, il senso comune, l’abitudine maledetta di essere cresciuti in un posto dove l’appiattimento mentale è totale. È molto triste dire queste cose, ma è un dato di fatto. Noi dell’illogica allegria di questo ne siamo consci, ma non per questo meno motivati ad andare avanti con la nostra battaglia, per migliorare Gaeta. E badate bene che questa non è una battaglia né di destra né di sinistra, ma di rivendicazione, di riscatto e di autonomia di tutti i giovani di questo paese.

07 marzo 2006

In cerca del nostro Cyrano

*Prima della lettura di questo articlo si raccomanda l'ascolto della canzone "Cirano" di Guccini, o almeno la lettura del testo.


di Fortunato Leccese
Il mondo ha bisogno di gente che sogni ancora, dei poeti, coloro a cui Dio - o chiamatelo come vi pare - ha messo le ali al pensiero, una schiera di angeli dalla parola appuntita che con gli occhi dell'anima penetra ovunque e chiunque, scardinando la troppa superficialità di cui si nutre la gente. Il mondo ha bisogno di qualche Cyrano in più, di persone in grado di mantenere intatte le loro idee, camminare a testa alta, a naso lungo, senza scendere a compromessi di vana gloria, perché avere delle idee significa avere una corazza da indossare, una strada da seguire, dei sogni da vivere. Molta gente non sogna più o per essere più precisi, i sogni sono diventati stupidi, di conseguenza anche molta gente. Oggi un bambino di dieci anni sogna per natale un cellulare o una play station da mangiare con gli occhi fissi al televisore e, cosa ancor più grave, un padre crede di fargli del bene, di guadagnarsi tutta la sua stima comprandoglieli. Il regalo più grande da fare ad un bambino è un quaderno, una penna ed una frase: “Scrivi figlio mio, cambia il mondo”, oppure uno strumento da suonare e ancora una frase: “Suona figlio mio, fammi muovere.” La verità è che siamo fermi, fermi di fronte una scatola ipnotica che mostra la guerra, la fame, la morte e non si piange più perché tutto è diventato terribilmente normale. La stessa scatola poi ci mostra due persone che s’innamorano all'interno di una casa in cui sono state segregate con altre otto o nove (che cosa terribile) e non ci si può commuovere dinanzi ad un amore vero. Vero? Il mondo ha bisogno di qualche imbecille in meno; si vedono ragazzi fatti con lo stampino frignare e fare a botte col cervello per entrare in una scuola dove credono di poter fare arte senza sapere nemmeno cosa sia l'arte, ma credendo di essere già degli artisti. Era più artista quel tale che con dei rutti progressivamente sempre più potenti, riusciva a rompere un gran numero di damigiane di vetro per di più in un tempo molto limitato. Portento! Il mondo ha bisogni di verità, quindi di artisti che non abbiano voglia di mischiarsi con la piatta normalità di questa vita, ma possano contribuire a renderla meno vuota; e perché questo possa avvenire l'arte e gli artisti avranno bisogno di gente disposta a seguirli, disposta a dare un senso alla loro sofferenza, disposti ad ascoltarli e gustare ciò che hanno da dire. Questo è davvero un bel sogno. Sembra tutto così tremendamente assurdo! Assurdo è guardarsi attorno senza notare e senza combattere le contraddizioni del mondo in cui viviamo. Chi insegue un pallone in mutande guadagna quattro milioni di euro ogni anno, chi lavora in fabbrica col mal di schiena cronico - nonostante giochi a calcetto una volta a settimana - guadagna mille euro al mese. L'operaio inoltre cosa fa la domenica? Risposta facile: guarda le partite, manda a quel paese arbitri, guardalinee, la televisione perché ogni tanto fa cilecca e osanna calciatori, piange per una sconfitta, picchia un tifoso avversario. E l'artista dove è finito? Non dietro ad un pallone, non sotto i riflettori. È solo spesso incompreso, la sua troppa sensibilità non appartiene alla gente, non interessa. Eppure solo continua la sua lotta personale contro le contraddizioni di un mondo in cui tutti devono essere disonesti per ottenere qualcosa, o protetti; da questo punto di visto è un eroe. Il poeta di oggi è un eroe; in un'epoca in cui pochi ormai lo ascoltano lui continua indefesso a scrivere di sé e di ciò che lo circonda e ad essere preso per scemo. Ma scemi sono solo coloro che solamente lo pensano! La poesia è concreta! Nasce dal corpo, è emozione allo stato puro. Non è forse concreta l'emozione? Non soffre un attore che sulla scena deve piangere, non singhiozza, non si contorce le membra dal dolore? Non è tutta finzione come si pensa... Si vive più intensamente sulla scena che nella vita probabilmente. Il mondo ha bisogno di artisti che non si arrendano di fronte tanta mediocrità, ma continuino a sguainare la loro spada al servizio di un'ardua impresa: dar vita ad un nuovo modo di vivere, ad un nuovo modo di amare. “Non si pugna nella speranza del successo. No, no: più bello è battersi quando è invano” dice Cyrano dinanzi alla morte prossima deciso a sostenere l'ultima battaglia. C'è chi non si piega di fronte la morte e chi si piega di fronte la vita rinunciando a vivere come si vorrebbe. Bisognerebbe sempre scegliere di vivere, vivere per qualcosa, per raggiungere ognuno la propria luna. I poeti del passato (Leopardi, Pascoli, Montale, Ungaretti e tanti altri) oltre ad aver vissuto, sono rimasti immortali attraverso le loro parole. Il mondo vuole che la gente abbia un sogno: scrivere per fermare il tempo, per risvegliarsi da tanto torpore, per ascoltarsi, capirsi, amarsi. “Dev'esserci, lo sento, in terra e in cielo un posto dove non soffriremo e tutto sarà giusto.” Il mondo vuole scrivere un nuovo mondo.

03 marzo 2006

Un triste mercato incombe sull'editoria e sui critici


Da "La Repubblica" del 3 marzo, uno stralcio dell'articolo di Edmondo Berselli dal titolo "Baricco, i libri e la critica. Come nasce un best seller".
"... Che si tratti di una concenzione premoderna è sancito non tanto dall'assenza di critici e imprenditori culturali come Elio Vittorini, quanto dal semplice sguardo alle classifiche dei libri più venduti. E perché la quantità sconfigga sistematicamente la qualità: ma perché il mercato è permeabile a qualsiasi influsso da parte dei 'trendsetter' più snob sia da parte della televisione più trash. Un autore dal saggismo accattivante come Corrado Augias viene premiato dalla sua figura 'anche' televisiva; l'invasione presenzialista dei palinsesti di Bruno Vespa; in modo tutto sommato non dissimile la riconoscibilità da piccolo schermo di Antonella Clerici proietta al vertice le sue ricette gastronomiche..."