26 gennaio 2006

Perché un giornale?


Pubblichiamo l'editoriale del numero 1 del nostro mensile "L'illogica allegria". A giorni il giornale sarà disponibile in formato pdf.
Perché un giornale?
Quando si costituisce un’associazione culturale si fa una scommessa. Anzi due. La prima è quella di riuscire a riunire persone, seppur molto diverse, mosse da un medesimo obiettivo: la volontà di esprimersi partecipando attivamente alla vita sociale della realtà in cui sono immerse. La seconda, invece, consiste nell’abilità di individuare le modalità tramite le quali si trasmette il messaggio, in poche parole come arrivare e farsi capire dalla gente. Se poi si vuole anche tener conto del tessuto sociale in cui si agisce – Gaeta -, allora le scommesse diventano tre. Esistono molti modi per esprimersi e noi aggiungiamo anche molti motivi per farlo; ma il punto è un altro: perché un giornale? Si potrebbe rispondere a questa domanda molto semplicemente, sostenendo che è lo strumento più efficace con il quale si può arrivare alla gente. Oppure no, esiste una risposta a questa domanda più complessa, che deve tener conto di due nodi fondamentali. Il primo è in linea generale identificabile con le difficoltà odierne che incontra la diffusione della scrittura, soprattutto nelle giovani generazioni. O meglio, la difficoltà che incontra ciò che è scritto ad essere letto. Nell’epoca storica in cui viviamo, purtroppo, sembra facciano poca presa le parole di Voltaire «Non leggete per apprendere leggete per vivere». Tira molto di più il grande fratello. Sono tempi duri per la cultura e per chi cerca di sostenerla. Viviamo nell’epoca della Tv “tette e culi”, dell’omologazione di massa alla mediocrità, l’epoca della prostituzione dell’arte, dei santi in televisione. Chiunque voglia dar vita ad un giornale deve confrontarsi continuamente con questo scoglio, soprattutto nelle realtà di provincia. Il secondo, è la questione del linguaggio, della comunicazione, della necessità di farsi capire, fondamentale soprattutto per chi, come noi, spera di veder crescere i propri numeri. Tale questione è inelusibile. La pigrizia culturale con la quale sono state “allevate” le nuove generazioni è disarmante. La diseducazione perpetuata a livello di massa nei confronti dell’espressione letteraria, ha sicuramente dato i suoi frutti. La questione della comunicabilità non è un principio astratto, bensì un concetto concreto. Oggi ci si scontra realmente con la possibilità di non essere compresi, persino nell’esposizione degli argomenti meno complessi. Siamo di fronte ad un bivio: abbassare anche noi i concetti al “senso comune” delle cose, oppure cercare di invertire la tendenza. La rimozione del senso critico, l’incapacità di articolare delle analisi della realtà che ci circonda, lo scivolare in un qualunquismo becero, questo significa declassare i concetti a “senso comune”. Porsi in un atteggiamento di alterità rispetto a tutto questo, invece, significa avere coscienza che l’arte e la cultura svolgono nella società in cui viviamo un servizio al potere. Ma se ciò è vero, lo è senz’altro anche il contrario. La poesia, la letteratura, la pittura, il teatro, la scultura, il cinema e la musica, rappresentano i nostri mezzi per l’emancipazione delle coscienze e la realizzazione di una cultura realmente democratica, di massa. Quindi, il giornale per noi si configura come il miglior mezzo di promozione per la realtà in cui viviamo, arma insostituibile contro il “senso comune” delle cose.

19 gennaio 2006

Parole sante!


"Chi accumula libri, accumula desideri; e chi ha molti desideri è molto giovane, anche a ottant'anni."
Ugo Ojetti

Nell'immagine a lato: Ugo Ojetti in una caricatura di Mario Vellani Marchi, col la divisa di accademico d’Italia e un cavallo alato che accenna alla rivista da lui fondata, "Pegaso" (da L’almanacco degli artisti, 1931).

16 gennaio 2006

Mangiare le idee

"In Virginia il signor Brown
era l'uomo più antirazzista
un giorno sua figlia sposò
un uomo di colore
lui disse: 'Bene'
ma non era di buon umore.
Un'idea un concetto un'idea
finché resta un'idea è soltanto un'astrazione
se potessi mangiare un'idea
avrei fatto la mia rivoluzione"
Giorgio Gaber, da "Dialogo tra un impegnato e un non so", "Un'idea".
Tante idee ai giorni nostri. Forse troppe... Quante di queste vengono mangiate? Molte vengono solo e solamente esposte, o capite - ma non mangiate -. Le idee in cui si crede, i principi cardini di una nostra vita. Il contatto con la realtà preserva sempre insidie per le nostre idee. Nel riscontro c'è un ripensamento; molte volte si capisce che ci si prende in giro da soli.

08 gennaio 2006

Scuola trasformer


Un laboratorio dove tutti sieno compagni di lavoro, maestro e discepoli, e il maestro non esponga solo e dimostri, ma cerchi e osservi insieme con loro, sì che attori sieno tutti, e tutti sieno come un solo essere organico, animato dallo stesso spirito. Una scuola così fatta non vale solo ad educare l'intelligenza, ma, ciò che è più, ti forma la volontà. Vi si apprende la serietà dello scopo, la tenacità de mezzi, la risolutezza accompagnata con la disciplina e con la pazienza, vi si apprende inanzitutto ad essere un uomo."
Questo frammento di uno dei tanti discorsi del De Sanctis sta a simboleggiare quella che secondo lui dovrebbe essere la scuola. Deve essere così? Riforme su riforme, variazioni di programmi a catena, si cambia e poi si riaggiusta, vecchio ordinamento, nuovo ordinamento…nuovissimo ordinamento. Chi è che ci guadagna in questa scuola “trasformer”? Cosa va fatto veramente per la scuola oggi? Ma soprattutto, la scuola di oggi come forma un ragazzo?
Sussistono dei tempi un po’ bastardi…

05 gennaio 2006

Si può credere ancora alla politica oggi?

“Adesso fanno le partite tra giudici e cantanti. Ne dovevano fare una anche tra ministri e mafiosi: insomma, un'amichevole.”
Roberto Benigni

03 gennaio 2006

Il libro consigliato di Gennaio


Ogni mese, consiglieremo un libro da leggere. In questo inizio d'anno, a farci compagnia, è presente Heinrich Böll. Premio Nobel per la letteratura nel 1972, meglio conosciuto come l'autore di "Opinioni di un clown", edito nel '63.

Titolo: Croce senza amore
Autore: Böll Heinrich
Dettagli: 332 pagine
Anno: 2004
Editore: Mondadori

Recensione

Nel 1947 il giovane Böll mette mano a un romanzo sul tema del conflitto tra cristianesimo e nazionalsocialismo, che l'editore tuttavia respinge perché "la descrizione dell'esercito tedesco - pur essendo noi stessi contrari a ogni forma di militarismo - appare priva di sfumature e sembra frutto soltanto di un risentimento non ancora elaborato". Deluso e offeso dalla valenza ideologica di tale giudizio, Böll accantonò il romanzo e non volle mai più riconsiderarlo. Quando finalmente "Croce senza amore" ha visto la luce in Germania, l'eco suscitata è stata davvero grande. Perché questo romanzo testimonia inequivocabilmente come Böll fosse fin dagli esordi il grande scrittore morale destinato a vincere il Nobel.

01 gennaio 2006

Lo sciuscio de L'illogica allegria


Anche l'illogica allegria ha portato il suo buon anno casa per casa, con il tradizionale sciuscio gaetano.
A questo proposito, riportiamo un articolo di un nostro socio, apparso su "Il Corsivo" qualche anno fa.
Ne approfittiamo per augurarvi buon anno a tutti.
Intervista.
Nino Cocchetto: "Ho salvato glie sciuscie"
di Luca Di Ciaccio
"L’ultima sera di ogni anno a Gaeta si perpetua la tradizione dello sciuscio: gruppi di persone, dai bambini fino agli adulti, girano per case e negozi a portare i loro canti augurali. Sono vestiti quasi sempre in costumi tradizionali o comunque folkloristici, cantano soprattutto in dialetto e suonano strumenti tipici e artigianali come l’urzo, il martello, la rattacasa. Sono pochi i gaetani che, almeno una volta nella vita, non hanno passato il 31 dicembre cantando lo sciuscio. E’ un modo per divertirsi, esibirsi e racimolare qualche cosa. Il fenomeno è stato anche oggetto della tesi di laurea di Paola Polito, studentessa di Lettere alla Sapienza, pubblicata in un libro edito dal Comune di Gaeta nel 2000. La Polito descrive lo sciuscio come un sincretismo tra radici storiche, foklore e influenze della cultura di massa, un rito propiziatorio e di iniziazione.

Nino Granata, nome d’arte Cocchetto, 63 anni, ex calciatore, di professione fotografo, da oltre venti anni è conosciuto come “il re dello sciuscio gaetano”. «Senza di me lo sciuscio sarebbe già scomparso», dice. Lo sciuscio per lui è un’arte, una religione, una ragione di vita: scrive canzoni, consiglia i giovani, organizza un Festival. Il suo stile è una via di mezzo tra Pulcinella, Peppe Barra e Renato Zero. Ogni sua sciusciata è uno spettacolo applaudito e richiestissimo: comincia il giro alle 17 del 31 dicembre e prosegue per negozi, case private e locali fino all’alba di Capodanno. Certo, è anche una faticaccia: «Altro che re, scrivi che io sono lo sgobbatore del sciuscio». Sono andato a trovarlo da “FotoNino”, il suo negozio di fotografia ormai riconvertito a tempio del rito sciusciaiuolo, di cui è massima autorità: «Io sto aperto perché i ragazzi vengono, provano, vogliono consigli, canzoni. Da qui sono passati un po’ tutti». Cocchetto parla e canta, mostra le sue foto alle pareti, articoli scritti su di lui, persino il costume, lungo, bianco e rosso con mantello, che indosserà quest’anno.

«Si stava perdendo la tradizione dello sciuscio, ma 23 anni fa l’ho acciuffata. Io scrivo parole e musica a quasi tutti i gruppi che vedi ogni anno».
Com’è nata questa passione?
Io giocavo a pallone col Gaeta, Cocchetto del Gaeta, ero il più piccolo giocatore del Gaeta e tutti mi dicevano “che bel Cocchetto”, e tuttora mi chiamano Cocchetto, così per una cosa di simpatia.
Io ci avevo due passioni: il pallone e lo sciuscio. All’età di 6-7 anni già facevo i sciusci. Andavo appresso a sta’ gente, che i miei non volevano, perché ero piccolo. Poi giocavo a pallone, avevo 12-13 anni e già la vena di scrivere gli sciusci a quelli grandi. I vecchi allora me lo chiedevano, Nino scrivici qualcosa! Oggi io sono l’unico che col pulmino e tutto alle 9 di sera vado per le case fino alle 4 di mattina a portare sciusci. Nessuno ci vuole andare. I giovani massimo alle 10 staccano. I gaetani vogliono la tradizione ma non la sanno mantenere. Io invece giro case, locali, ma è lavorato. Altro che o re degli sciusce. Io sono lo sgobbatore, l’operaio degli sciuscie. Ma lo faccio con l’anima, me lo sento.
Lo sciuscio di quest’anno è pronto?
Ecco, questa è la canzone di quest’anno. Vich e ammor.
(canta) “Vir e vich e ti fa suspira’, meraviglia de questa città, ca so’ nato e ci voglio restà, chist vich che ammor ti da’, na figliola abbracciata cu tte è sicuro che sta con ‘nnu re...” Io adesso ho la voce un po’ così che sono appena andato a provare... ”Guardanne e vich te mett into o’ ccorre n’ammore paesan, o ricord dei vich è vita ammore e felicità, parapapa....”. Questa è la canzone creata da me
Complimenti. Quando l’ha scritta?
L’ho scritta già questa estate, il pezzo mio lo scrivo sempre prima e poi lo metto da parte. I gruppi grandi come il mio cominciano un mese prima a provare. Allora, questo sarebbe il pezzo mio che do al pubblico, però l’inno nazionale, “nui simm’ gli poveri poveri” rimane sempre, quello non si tocca. Io ci cambio solo la musica, ma quando vai in una casa se non chiami “ohi padrò...” i soldi non te li danno.
Si dice in giro di leggende sulla sua sciarpa. Me le spiega?
Ora ti spiego. L’ingegnere Fantasia, lo sanno tutti a Gaeta, aveva 105 anni quando è morto. E io andavo da lui che gli piacevano queste cose. E lui mi regalò questa sciarpa. La sciarpa è del bene e del male, usala per il bene. L’ho persa 13 volte e sempre me l’hanno riportata. Una volta sono andato a RaiUno e il direttore della Raiuno mi ha detto “per piacere ho sentito parlare della sciarpa, posso esprimere un desiderio?”. Chissà chi ce l’avrà detto.
E cosa chiese il direttore di Rai1?
Il desiderio non lo so. Bisogna farlo mentalmente...

Torniamo allo sciuscio. Lei parte ogni anno alle 17 del 31 dicembre dalla galleria sul Corso.
Io sono l’ultimo a uscire e l’ultimo a tornare. Le quattro, le cinque...
Ma alla mezzanotte dove va?
Viene il costruttore Capomaccio, tutti gli anni viene qui e vuole che a mezzanotte meno un quarto siamo a casa sua. Ci fa fare lo sciuscio proprio a mezzanotte, ci fermiamo lì senno se stiamo nel pulmino ci lanciano le cose addosso. Poi c’è la Base nautica che lo vuole all’una e mezzo, l’Antico vico a un altro orario. Vado da Scialdone, da Ciccariello. Dal fior fiore della Gaeta.
Però chissà quanto costa.
No, non è vero proprio. Quanto mi dai dai è uguale. Specie adesso col fatto dell’euro...
Solite polemiche sulla modernizzazione, contro si è schierato anche l’assessore Di Mille.
E lei che strumenti usa?
Io ho sassofono, fisarmonica e batteria. Basta. Poi ho urzo, martello, tamburella e rattacassa, e l’acciarino. Che sono i tradizionali. Il festival 2003 si terrà il 5 gennaio in piazza della libertà, c’è un bando per le strade di Gaeta con la firma del sindaco, premi in euro, una collaborazione con Radio Spazio Blu (che, per coincidenza di tradizione e novità, ha la sede proprio a pochi metri da FotoNino). E ci sarà anche il musicista napoletano Tony Esposito sul palco.
A proposito il sindaco Magliozzi l’ha visto?
Magliozzi è venuto qua mi ha dato la mano, mi ha ringraziato, ha detto quest’anno facciamo una cosa migliore. Io collaboro a scrivere i testi. A me non importa di partecipare, che vinca il migliore. In tutti questi anni qualche premio, qualche contributo glielo avranno dato. Tutti i sindaci, ognuno che viene mi da sempre qualcosa. Una targa, un piccolo contributo. E poi tutti mi dicono: quando tu non ci sarai più chissà come andrà a finire. Io oggi batto a macchina i testi e glieli do gratis ai ragazzi. Perché la fonte dei sciusci sono i piccoli. Se io 23 anni fa non cominciavo oggi sarebbe tutto scomparso. Allora c’erano solo pochi che uscivano, il maestro Ciano, il maestro De Rosa. Io li acciuffati e piano piano... C’era Andreotti che mi mandava 300mila lire ogni anno. Allora c’era Uttaro che me lo fece conoscere. Ma ogni giunta mi dava sempre una cosetta. Quest’anno forse fanno anche una cosa più organizzata.
Ma chi erano i poveri poveri, quelli che hanno iniziato la tradizione della questua di Capodanno?
Lo sciuscio è nato a Elena, zappatori e pescatori. C’era la manovalanza che veniva da Casoria, li chiamavano i gaetani per costruire le case, che non avevano nemmeno da mangiare. Loro andavano porta per porta... ohi padrò Tore dacce sti sciusci, dacci sti fichisecchi... Poi il maestro Ciano e altri ci fecero la musica, diventò una serenata.
Ha fatto lo sciuscio anche ad Andreotti.
14 anni fa Uttaro mi portò da Andreotti. Gli piacevano il dialetto, le tradizioni. Cocchitelli, tu sei un filibustiere mi ha detto. E Io risposi: onore’, amma fa’ la conta io e tte... Poi Andreotti mi disse: allora Cocchitelli, che vuole? Onore’, so dodici anni che faccio sti sciusci, perché lo devo fare solo io, questa è una cosa cittadina. E lui: e se poi viene un altro per un anno e lo fa meglio di te? Poi finisce la bagattella...
Una bella lezione. Lei ormai sta durando quasi più di Andreotti. Cambiano i temi, le amministrazioni e tutto, però lo sciuscio non si tocca.
Ogni amministrazione ha racimolato sempre qualcosa. Massimo un milione, non di più. Perché se danno dieci milioni a me qua facciamo meglio di Sanremo. Lo sciuscio è come se fosse una mia creatura. Quando la gente mi vede cantare, dice “tu somigli a Renato Zero o a quell’altro...”, perché io canto con l’anima. Come te lo spiego? Non è che uno va a recitare. Io Gaeta ce l’ho nell’anima.
Ha portato il suo sciuscio anche alle giunte comunali, vero?
Parecchie giunte mi invitano a cantare con loro. Sei anni fa, c’era la giunta D’Amante, io arrivo lì, tutti seduti a tavola, ridevano. Io ho dato gli strumenti in mano a loro, così loro suonavano e io cantavo. Lo sciuscio è armonia, è una famiglia, non c’entra la politica. Se questa giunta nuova non faceva qualcosa per lo sciuscio mi dispiaceva. Poi è il primo anno tutti si aspettano qualcosa. Poi io devo dire viva chi va e viva chi viene, l’importante è lo sciuscio. E’ l’unica tradizione che c’è rimasta.
Però, quando arriva Cocchetto la gente pretende qualcosa di particolare.
Bravo, esatto. Loro dicono tu sei o re d’o sciuscio. Ma che o ‘rre? Io sgobbo. Io sono lo sgobbatore, l’operaio dello sciuscio.
E’ una missione sociale
Si, io sono il missionario dei sciusci. Nel vero senso della parola.
Quando prova è anche un perfezionista?
Ti dico una cosa: c’era un ragazzo che faceva il batterista, mentre provavamo ha lasciato la batteria ed è andato al telefono. Lo chiamava la ragazza. Io ho preso un portacenere e ce l’ho tirato appresso. Mica l’ho colpito, ho rotto dei vetri. Io voglio il meglio del meglio, per il pubblico.
Per concludere, quali sono i fondamentali del vero sciuscio?
L’inno nazionale: nui simm gli poveri poveri... ohi patro Tore... quello ci sta sempre. Il ringraziamento a Gaeta, sempre Gaeta. Quello è lo sciuscio. Io ho scritto sempre canzoni su Gaeta. E in dialetto, che è importante, si deve capire. Poi gli strumenti, la partitura musicale. E sempre urzo, rattacasa, martello. E poi io ci metto l’anima. E la gente questo lo sente.
Come se la spiega questa popolarità?
La gente si innamora della tradizione. Certa gente mi dice “Nino, non ti offendere, io ti devo chiamare Cocchetto”. E chiamatemi Cocchetto..."